I diari segreti del dr Lucas, Il suo cappello, professore!

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DarkAvenger83
view post Posted on 3/10/2008, 17:08




Io dalla foto ke hai messo non riesco proprio a vedere ciò ke vedono questi archeologi...
 
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Lucasart85
view post Posted on 3/10/2008, 17:23




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Andiamo con ordine: partendo dal basso della raffigurazione (così come è mostrata nell'immagine sopra) il plimo glifo che troviamo è quello che per la cultura Maya rappresenta l'occidente, dove il sole cala e 'muore' creando l'accesso per il mondo dei morti. In un’antica mappa Maya, l’occidente viene collocato in basso, proprio come nella pietra di Pacal; il nord, simboleggiante la terra della pioggia, è a sinistra di esso. Il sud è a destra e rappresenta il sole a mezzogiorno, quindi il luogo del calore; infine l’est, in alto, è il luogo dove sorge il sole e quindi dove ha inizio la nascita o la rinascita.
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Sopra il primo glifo ne troviamo un secondo, che secondo la maggioranza degli studiosi rappresenta la maschera ossea del dio della morte, signore del livello dell’Oltretomba. Sopra di esso è collocata una figura umana; tutti ritengono si tratti di Hanab Pakal II, sovrano-sacerdote di Palenque; i cui resti sono stati conservati per secoli sotto questa enorme lapide.
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La mitologia Maya vede i quattro punti cardinali (Nord, Sud, Ovest, Est) uniti da una gigantesca croce chiamata l'Albero della Vita, che collega il cielo, la terra e il regno dei morti. Questo ci porta al terzo glifo, posto appena sopra la figura umana: esso rappresenta, in questa raffigurazione, oltre che l'albero della vita, anche l’albero, inteso come vegetale, la Via Lattea ed il "Bianco Cammino", una strada sacra che corre da oriente ad occidente, dalla nascita alla morte. Si presume infatti che la stele rappresenti il viaggio del Re Pacal verso gli inferi.
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Il quarto glifo è sovrapposto all'albero della vita e rappresenta un serpente bicefalo che i Maya adoravano; era conosciuto come Itzamnà o Dragone Celeste. Simbolicamente esso rappresenta la vita e la morte.
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Giungiamo infine al quinto simbolo, che si trova nella parte più alta del bassorilievo e rappresenta un Quetzal, un uccello sacro per i Maya e odierno simbolo nazionale del Guatemala. La chiave che ha permesso di decifrare il complesso simbolismo è costituita proprio dalla presenza di Hanab Pakal II, che nella rigida gerarchia della Città-stato di Palenque rappresentava il fulcro dell'universo; la sua posizione 'centrale' nella raffigurazione è dovuta proprio al suo status.
 
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Lucasart85
view post Posted on 9/10/2008, 10:44




[center]Ley Lines[/center]
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La prima formale definizione di cosa siano le ley lines è databile al 1921, ad opera dell’archeologo dilettante inglese Alfred Watkins; tuttavia, non mancano studi antecedenti che, in una maniera o nell’altra, descrivono i medesimi contenuti.
Nel settembre 1870, presso la British Archeological Association, William Henry Black tenne una conferenza dal titolo Boundaries and Landmarks. Secondo Black, i monumenti, naturali e non, sarebbero disposti sul territorio non in maniera casuale, ma in modo da formare un unico gigantesco reticolo, a copertura dell’intera Europa Occidentale.

Nel 1882, ancora, G. H. Piper presentò al Woolhope Club di Hereford, in Inghilterra, un lavoro in cui sosteneva che la linea che collegava Skirrid-fawr a Arthur’s Stone attraverso Hatterill Hill, Oldcastle, Longtown Castle e i castelli di Urishay e Snodhill non era un casuale risultato del lavorio della natura, ma il preciso prodotto del lavoro degli antichi abitanti di quei territori, da Piper ribattezzati “dodmen”.
Ma veniamo ad Alfred Watkins. Nel 1920, questi stava percorrendo con la propria auto le strade di Blackwardine, nell’Herefordshire, in Inghilterra, quando, osservando la cartina, si rese conto che moltissimi siti preistorici, in quella zona per lo più megalitici, e edifici di culto erano allineati e collegabili tra loro con precise linee rette, costituite, anche nella realtà, da piste, sentieri, di circa due metri di larghezza. Dopo una serie di approfondite ricerche, che sfociarono nei volumi Early British Trackways e The Old Straight Track, Watkins giunse alla conclusione che quelle linee erano risalenti al periodo pre-romanico, forse addirittura al neolitico; che fossero poi state ricalcate nell’età del bronzo e del ferro e preservate in modo occasionale durante la cristianizzazione, giungendo quasi intatte fino a noi.
Riguardo la loro funzione, Watkins riteneva che le ley-lines fossero semplici vie di comunicazione tra luoghi di rilevanza sociale e religiosa particolarmente forte. Tuttavia, il fatto che molte lines ricalchino il percorso del sole durante i solstizi o quello della luna, lasciava pensare che essere avessero anche una funzione legata all’ambito spirituale: secondo Watkins, esse potevano costituire una sorta di percorso, di tracciato, da compiersi durante alcune particolari celebrazioni o cerimonie. Il fatto stesso che le lines colleghino luoghi di culto come siti megalitici o zone di sepoltura o chiese pare confermare tale interpretazione.

Inizialmente, Watkins non attribuì alle ley-lines alcun significato soprannaturale o magico: semplicemente, egli riteneva che si trattasse di antichi sentieri utilizzati come vie di comunicazione commerciale o percorsi di cerimonie religiose, come abbiamo visto. Ad attribuire un primo connotato soprannaturale alle “linee di prateria”, in un certo qual modo tradendo il senso delle sue ricerche, ci pensarono i successori di Watkins.
Il primo fu l’occultista e scrittore Dion Fortune, che nel romanzo del 1936 The Goat-footed God conferì alle ley-lines caratteristiche magiche, legate al culto della terra.
In seguito, due rabdomanti inglesi, il capitano Robert Boothby e Reginald Smith del British Museum, collegarono i tracciati delle ley-lines alla presenza di falde acquifere sotterranee e all’esistenza di ipotetici flussi elettromagnetici.
Ancora, due ricercatori nazisti, Wilhelm Teudt e Josef Heinsch, piegando la ricerca all’esaltazione incondizionata della razza ariana, conclusero che gli antichi Teutoni avevano contribuito alla realizzazione di una fitta rete di linee astronomiche, le cosiddette Heilige Linien, la quale avrebbe collegato tra loro i più importanti luoghi sacri dell’antichità. Teudt localizzò il distretto di Teuburgo Wald district in nella Bassa Sassonia, centrata attorno la formazione rocciosa di Die Externsteine.
Negli anni ‘60 la teoria delle ley-lines si incontra con la geomanzia, ossia la pratica di predire il futuro dalla forma del territorio. Secondo quanto sostenuto dalla cosiddetta New Age, e in particolare dallo scrittore John Michell, gli uomini del neolitico ritenevano che l’armonia della società civile dipendesse dall’armonia delle forze della natura e della terra. Tale armonia naturale poteva essere preservata collocando i luoghi di culto e le costruzioni degli uomini in precisi luoghi e in precisi punti, particolarmente rilevanti e in cui la “forza della terra” fosse più forte. E’ quanto, per esempio, fecero i cinesi, “inventando” la disciplina a noi nota come Feng Shui.
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Quale che sia la ragione per cui diversi punti sulla Terra siano collegati tra loro da linee, un unico fatto pare certo: le ley-lines esse stesse e i luoghi che esse collegano tra loro sono zone positive e particolarmente cariche di un’energia dagli effetti vantaggiosi e favorevoli. Per esempio: in Scozia la piccola comunità di Findhorn coltiva ortaggi di dimensioni superiori alla norma in condizioni assolutamente proibitive, su un suolo inadatto all’agricoltura, in un clima terribile e senza utilizzare fertilizzanti chimici. Gli abitanti di Findhorn attribuiscono tali risultati alla loro particolare ed intima connessione spirituale con le piante e con le Entità che, a quanto dicono, le proteggono. Tuttavia, tale località si trova a soli 80 km da un nodo di ley-lines e la cosa, nella nostra ottica, non può essere tralasciata.
Gli effetti positivi delle lines non si esauriscono nell’esempio di Findhorn: pare, infatti, che l’energia di cui le linee sono conduttrici abbiano effetti positivi sulla psiche umana, favorendo ed amplificando capacità “particolari” o sciogliendo alterazioni della mente e problemi legati alla sfera psichica.
In alcuni casi, quando le lines si congiungono in nodi di discrete dimensioni, l’energia sprigionata dalla linee può raggiungere livelli eccessivi e divenire energia negativa. L’esempio più famoso, in tal senso, è quello costituito da quella porzione di oceano compresa nel cosiddetto Triangolo delle Bermude, teatro della scomparsa di molteplici imbarcazioni e aerei. Poiché tutte le testimonianze convergono nel registrare il malfunzionamento della bussola e di tutta la strumentazione radar, le cui cause principali sono sicuramente imponenti fenomeni di disturbo di natura elettromagnetica, si può ipotizzare con ragione che la causa di tali eventi sia da individuare nelle numerose lines che lì si incrociano e nell’energia di cui sono portatrici.

Come ogni teoria, anche quella delle ley-lines andò incontro a critiche e perplessità.
Il primo dubbio che investì gli esperti, e i matematici in particolare, riguardò l’elemento fondante tutto il disegno messo a punto da Watkins: le ley-lines esistono veramente? Oppure il fatto che su una mappa determinati luoghi giacciano su una stessa linea retta è un fatto del tutto casuale? In effetti, dimostrazioni matematiche neanche troppo complicate mostrano che l’allineamento di punti disposti casualmente su una mappa porta ai medesimi risultati ottenuti da Watkins e che, dunque, l’esistenza delle ley-lines è determinata da costruzioni mentali assolutamente illogiche.
Altri dubbi riguardano poi l’idea che, anticamente, queste ipotetiche strade possano essere state utilizzate come vie di comunicazione. Analizzando i percorsi delle lines su cartine toompiono percorsi decisamente strani, salendo alti pendii, scendendo in profonde valli o compiendo scomode deviazioni. In pratica, chiunque abbia disegnato i percorsi delle ley-lines nell’ottica di utilizzarle come strade, non ha assolutamente tenuto conto della loro funzionalità e della loro comodità. Un fatto decisamente strano in un’epoca in cui la rapidità e facilità di comunicazione era fondamentale.
A proposito dell’eventuale connessione tra ley-lines e magnetismo, le ricerche in tal senso sono ancora in corso e non hanno finora portato evidenti prove a suffragio dell’ipotesi che le lines colleghino centri dotati di particolare carica magnetica. La mappa delle ley-lines è ancora lontana dall’essere completata.

See you, space cowboys...
 
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DarkAvenger83
view post Posted on 11/10/2008, 10:32




Wao appena ho un pò di tempo devo leggermi tutta questa storia ke hai scritto ;P!...
 
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Lucasart85
view post Posted on 12/10/2008, 10:16




con tutta calma, dark...
(così dicendo ti punto una pistola alle spalle...)
 
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Bai-Ji-S
view post Posted on 13/10/2008, 14:12




avevo già sentito di torie relative a luoghi mistici presenti sulla terra ed al loro allinamento secondo linee di energia terrestre.
Personalmente sono molto scettico a riguardo, le linee non hanno una vera e propria forma geomentrica precisa e secondo me se segui una qualunque linea su una mappa ci trovi per forza qualche cosa sopra, che sia un centro abitato, un monumento o una formazione rocciosa naturale. quindi non mi sembra si scorgere nessuna prova a supporto di queste torie.

in più questa non è l'unica speculazione su linee di forza della terra esistenti, ho trovato infatti le teorie di uno studioso e rabdomante, un certo Hartman, che vi riporto in seguito.

Ernst Hartmann, negli anni '50, compie una serie di studi empirici su presunti effetti di anomalie del campo magnetico terrestre sugli organismi viventi. Riprende un po' tutte le teorie in voga in quel tempo, e formula un insieme di teorie che pubblica in un libro (non occorre dire che NESSUNA di queste teorie appare su riviste con referee). L'insieme di teorie e' disorganico, e spesso contradditorio, anche perche' la teoria viene ripetutamente modificata, sia da Hartmann che dai suoi successori.

Hartman sostiene che la Terra sia ricoperta da una griglia di striscie, in direzione Nord-Sud ed Est-Ovest, larghe 21 cm e spaziate di 2-2.5 metri, uscenti dalla Terra. L'origine di queste striscie e' data in fiumi sotterranei, poi in radiazione cosmica, infine nella struttura cristallina dei minerali presenti nel nucleo terrestre. In particolare all'incrocio di queste striscie, nei cosidetti "nodi di Hartmann", si verificherebbero una serie di effetti misurabili. La forza muscolare statica (misurata ad es. premendo contro una superfice) diminuisce. Il tracciato della resistenza cutanea (tipo quello registrato dalla "macchina della verita') appare molto piu' irregolare. Le piante crescono con minor vigore, e si ammalano piu' facilmente. I rabdomanti "sentono" qualcosa (Hartmann era anche rabdomante).

I successori di Hartmann hanno cercato di "spiegare" i nodi in termini elettromagnetici, come modificazioni del campo geomagnetico o come campo magnetico indipendente, sovrapposto a questo. Per i moderni geobiologi, le bande NON sono misurabili: solo le loro intersezioni (nodi) lo sarebbero, e in genere solo con i metodi empirici di Hartmann. I gatti inoltre prediligerebbero i nodi, mentre i cani ne starebbero alla larga, preferendo stare al centro delle "celle". Sono stati proposti altri sistemi di bande, ad es. diagonali rispetto a quelle di Hartmann.

Stare per lungo tempo su un nodo puo' avere effetti nefasti sulla salute, da disturbi del sonno a cancro. Pertanto non bisogna posizionarci sopra letti, poltrone o simili.

Purtroppo non esistono metodi semplici per rilevarli. Ne' si puo' calcolare dove si trova la rete, perche' i nodi si spostano per effetto di cavita' sotterranee, faglie telluriche, oggetti metallici (QUALSIASI metallo) e soprattutto per effetto dell'inquinamento elettromagnetico. Non esistono spiegazioni di come un campo a 50 Hz (o un'onda radio) possa modificare un campo magnetostatico, ma i campi generati dall'uomo sono visti in generale come in grado di potenziare l'intensita' dei nodi, o di attirarli su di se'. (N.B. Tutto questo non c'entra con le ricerche serie sulla pericolosita' dei campi EM).

Infine la cosa ha assonanze con le teorie cinesi del "Feng Shui". La rete fa parte della circolazione dell'energia vitale (Chi) della Terra, e i nodi ne impediscono il flusso regolare. Stare per lungo tempo su un nodo quindi impedisce all'organismo di ricaricare la sua energia vitale, con conseguenze sulla salute. Inutile sottolineare che le prescrizioni del Feng Shui non hanno nessuna somiglianza con quelle di Hartmann.

Le teorie di Hartmn hanno molte falle e dimostrano anche una scarsa compatibilità con le conoscenze di base riguardo ai campi elettomagnatici, tuttavia ci sono scuole di pensiero new-age che ne hanno estrapolato teorie sull' armonia dell'ambiente domenstico e sulla coretta posizione dei letti e delle poltrone di casa (tipo ad esempio che il letto deve essere rivolto verso Sud e i divani del soggiorno verso Est, mentre le poltrone e le scrivanie verso su si lavora vanno rivolti a ovest)
 
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Lucasart85
view post Posted on 13/10/2008, 16:14




ma che fai peppe, mi vuoi rubare il lavoro?? XD

cmq quella di hartman e soci è una delle teorie che tentano di spiegare tanti accadimenti (magari lontani tra di loro) con un unica teoria, che spesso divente oggetto di culto tra i tanti new age
ci sono però in effetti alcune cose che accomunano le ley lines alle linee del drago (quelle del Feng Shui), poteri "curativi" ed effetti sul magnetismo, tanto che in parecchi ormai le considerano la stessa cosa
 
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Lucasart85
view post Posted on 16/10/2008, 09:32




Piramidi della Bosnia



A Visoko, a 30 km da Sarajevo in Bosnia, si sta riscrivendo la preistoria. L' équipe guidata da Semir Osmanagic, archeologo bosniaco, vissuto negli ultimi 15 anni esplorando siti Maya del Messico, sta compiendo scavi intorno alla collina riportando alla luce la costruzione piramidale che si celerebbe conservata intatta dal muschio presente sul terreno.
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Le Piramidi di Visoko in Bosnia. La piramide, contenuta nella collina che si eleva di circa 650 metri, raggiungerebbe un altezza di 220 metri in altezza, con una pendenza di 45 gradi e fianchi di 365 metri di lunghezza, risultando, se tali misure verranno confermate, più grande della Grande Piramide di Giza.
Secondo l’archeologo bosniaco anche la collina adiacente nasconderebbe una piramide più piccola.
Impegnati nell’impresa geologi dell’Università di Tuzla, specialisti in sedimentologia, mineralogia, petrografia, e altri archeologi che prestano volontariamente il loro contributo mossi dall’opportunità di divenire protagonisti di un’impresa che può cambiare la storia europea.
I quattro fianchi inclinati della collina sono interamente coperti di lastre di pietra e orientati con i punti cardinali; la collina possiede un vertice piatto e una scalinata che potrebbe condurre all’ingresso e all’accesso dei locali interni della piramide.
Nel luogo sono state rilevate altre colline che potrebbero nascondere altrettante piramidi più piccole, per l’esattezza altre quattro, facendo della regione il più importante sito archeologico europeo.
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La piramide di Visoko, la più grande delle costruzioni nascoste dalle colline, sarebbe simile a quelle sud americane, per questo le è stato assegnato il nome di "Piramide del Sole" e di conseguenza le altre hanno preso i nomi di "Piramide della Terra", "Piramide della Luna", "Piramide del Dragone"; tutte costruite nello stesso periodo dallo stesso popolo, una super civiltà risalente a oltre 12000 anni fa.
L’antichità delle costruzioni sarebbe confermata dal fatto che le rocce presentano alterazioni dovute alla loro permanenza secolare nell’acqua; se le piramidi rimasero sommerse lo furono dopo la fusione dei ghiacci alla fine dell’ultima glaciazione, avvenuta appunto circa 12000 anni fa, questo accerta che tali costruzioni erano già presenti all’epoca.
Unendo l’apice delle piramidi del Sole, della Luna e del Dragone, con una linea, otteniamo un triangolo con gli angoli uguali, tutti di 60 gradi, un perfetto triangolo equilatero.
Le piramidi sarebbero collegate tra loro un sistema di cunicoli e gallerie sotterranee, ritenute a torto dagli storici miniere medievali di carbone. Il labirinto formato dalle gallerie è stato mappato da un gruppo di esperti che avrebbero anche trovato un sistema di ventilazione.
Le immagini satellitari e i sondaggi eseguiti nel terreno hanno permesso di stabilire che la collina non può essere di origine naturale, ma opera dell’uomo.
Gli scavi procedono su tre lati: a Sud, in due diversi punti del plateau, sul lato nord e su quello a est.
Sul lato sud nella zona del secondo scavo del plateau è stata rilevata la scalinata e con essa blocchi di calcare e lastre in pietra arenaria, materiale non presente nella zona, lavorato e portato sul posto da altre località. Dagli scavi la conferma dell’esistenza di lastre usate per la pavimentazione lavorate a mano e strutture realizzate dall'uomo. I blocchi si sono preservati intatti grazie ai 15 centimetri di muschio che li ha ricoperti; questo ha permesso di rilevare le specifiche forme geometriche dei loro contorni. Chiaramente visibili i lati dei delle pietre e l’area dove sono unite; altrettanto chiari i punti di unione finemente basati. Uno dei blocchi rinvenuti presenta una forma circolare confermando la sua lavorazione manuale. I blocchi risultano tagliati in dimensioni precise con lo scopo di creare la struttura della piramide. Alcune pietre riportano incisioni circolari sopra la loro superficie che ricordano vagamente il segno del labirinto, come quella rinvenuta nella zona del plateau. Uno scavo di nove metri ha permesso di stabilire che il plateau è coperto di tali blocchi che seguono l’angolo della collina
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Chi può aver costruito le piramidi 12.000 anni, fa se non prima?
Qualcuno indica i costruttori negli Illiri, che abitavano la penisola balcanica prima delle tribù slave, ma le loro origini restano sconosciute. Sappiamo che era un popolo tribale governato da condottieri, una razza indo europea. Si ritiene che fossero discendenti dai primi immigranti Ariani, sicuramente furono i primi abitanti conosciuti della Bosnia e la più antica razza nel sud est dell’Europa (le prime manifestazioni di questa civiltà risalgono all'inizio del secondo millennio a.C.).

Dal 25 al 30 agosto scorso si è tenuta a Visoko la prima Conferenza Scientifica Internazionale sulla "Valle delle Piramidi di Bosnia".
Il simposio è stato presieduto dall'archeologo Nabil Swelim, titolare di tre titoli accademici in scienze archeologiche. Vi hanno partecipato anche lo scienziato russo Oleg Kravoshin, il Dr. Mostafa El Abbadi, fondatore della Libreria di Alessandria oltre ad altri archeologi e scienziati provenienti dal resto del mondo. Bollata come pseudo-scientifica dalla scienza accademica, in realtà si è svolta in un consesso scientifico di alto valore. Le conclusioni che la commissione scientifica ha presentato al mondo sono:
1 - Le piramidi esistono e sono reali;
2 - I lavori archeologici presso la Valle delle Piramidi di Visoko rappresentano un'importante ricercha geo-archeologica ed epigrafica che richiede ulteriori studi multidisciplinari che rispondano alle origini delle piramidi e dell'esteso sistema di tunnel sotterranei.
3 - Un centro di raccolta dati e coordinamento studi sulla Valle delle Piramidi sarà fondato a Serajevo;
4 - E' stata richiesta la collaborazione dell'Università della Bosnia Herzegovina per portare gli studi ad un livello titolato, quale supporto alle ricerche già svolte in questi due anni.
Il dato più sconcertante è stata la presentazione dell'unico artefatto trovato in relazione alle piramidi, un pezzo legno lavorato ritrovato all'interno dei tunnel Ravne le cui analisi al C14, presentate da Andrew Lawler e Anna Pazdur, hanno offerto una risposta sconvolgente, 34.000 anni di età. Poichè le analisi al C14, per valutare l'età di queste dibattute piramidi, dovebbero essere svolte su più artefatti, per ora questo risultato, per quanto incredibile, è considerato solo ipotetico e non ufficiale. Se lo diventasse, queste piramidi cambierebbero la storia per davvero. La prossima conferenza internazionale sulla Valle delle Piramidi in Bosnia è prevista per il 2010.
 
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Lucasart85
view post Posted on 27/10/2008, 13:30




Nibiru: verità o semplice mitologia?

Secondo gli studi e le interpretazioni della lingua cuneiforme ad opera di Zecharia Sitchin, linguista e storico russo, l’antico popolo sumero definisce col nome di Nibiru un pianeta, il “Pianeta dell'incrocio”. Da questo pianeta provengono gli Anunnaki, “Coloro che dal Cielo caddero sulla Terra”, una stirpe di giganti super-evoluti, di dei corrispondenti ai Nefilim biblici che, atterrati sulla terra, danno vita al genere umano attuale. I luoghi scelti per la colonizzazione sono la Valle del Nilo, la Valle dell'Indo e la Mesopotamia ad opera di una spedizione capeggiata da Enlil, nome che ricorre spesso nella mitologia dei Sumeri.

Zecharia Sitchin, cresciuto in Palestina, acquisisce qui una completa padronanza della lingua ebraica antica e moderna, studia in modo approfondito le lingue semitiche ed europee, l'Antico Testamento, e la storia e l'archeologia del Medio Oriente. Nel suo libro “The Twelfth Planet”, sempre basandosi sui antichi testi Sumeri, fornisce dati piuttosto precisi sulle caratteristiche di Nibiru e ritiene probante, al fine di definire “strabilianti” le conoscenze astronomiche sumere, l’analisi di un reperto conservato nel Museo di Stato di Berlino, un'incisione su un sigillo cilindrico accadico risalente al 2400 a.C. Il sigillo, a detta di Sitchin, altro non è che una raffigurazione del Sistema Solare che vede la nostra stella circondata dai pianeti da noi oggi conosciuti, nella giusta successione e dimensione, più Tiamat e il misterioso Nibiru. Tiamat, per i Sumeri, è un pianeta anticamente posto tra Marte e Giove. Già molto prima dell’arrivo degli Anunnaki, Nibiru si è trovato periodicamente in posizione a noi prossima. In uno di questi passaggi viene ad impattare con Tiamat; quest’ultimo si frantuma in più parti, una parte diviene la cintura degli asteroidi mentre, la restante parte di Tiamat con il suo satellite Kingu (la Luna), viene scagliata verso un'orbita più vicina al Sole e genera all'attuale sistema Terra-Luna.
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I Sumeri, nel sigillo di Berlino, illustrano e dimostrano perciò di conoscere il nostro sistema planetario all’interno del quale includono il misterioso Nibiru, un sistema che contiene tutti i nove pianeti oggi conosciuti, il Sole e la Luna. Nibiru viene perciò ad essere il decimo pianeta o dodicesimo se si conta, come fanno i Sumeri, anche il Sole e il nostro satellite. Nibiru, a causa di un’orbita molto ellittica ed esterna, ha la caratteristica di tornare puntualmente nelle vicinanze della Terra ogni 3600 anni circa, numero più volte citato nei testi sumeri.
Va ricordato che i pianeti più lontani vengono da noi scoperti solo negli ultimi tre secoli: Urano nel 1781 da William Herschel, Nettuno nel 1846 da Johann Gotfried Galle e Heinrich Ludwig d'Arrest e Plutone nel 1930 da Clyde Tombaugh. Questi tre pianeti sono presenti sul sigillo cilindrico dei Sumeri e rappresentati nei loro scritti con una certa precisione. Urano è chiamato Kakkab Schanamma (cioè il pianeta-gemello, in quanto gemello di Nettuno), Nettuno è detto Hum.ba, che vuol dire "pianeta dalla vegetazione di palude", o En.ti.masch.sig che significa "pianeta dalla luminosa vita verde". Le antiche descrizioni sono di fatto coerenti con le immagini inviate sulla Terra dalla sonda spaziale Voyager 2 che mostrano sia Urano che Nettuno, il suo "gemello", dalla colorazione verde-azzurra. Ciò è dovuto alla composizione dei due pianeti caratterizzati da un corpo solido circondato il primo da idrogeno e ammoniaca, il secondo da una spessa coltre di metano.
L’ultimo passaggio di Nibiru, narrato al tempo dei Sumeri, è ricordato come causa di sconvolgimenti climatici incredibili e, forse per questo, molte testimonianze del periodo associano Nibiru a qualcosa di oscuro e pericoloso.
Anche i babilonesi riportano descrizioni di un pianeta da loro chiamato Marduk curiosamente simile a Nibiru. Il testo epico babilonese afferma chiaramente che Marduk è un invasore proveniente dall’esterno del sistema solare che arriva da regioni sconosciute dei cieli, dalle profondità dell’universo.

Alcuni studiosi definiscono le ipotesi di Zecharia Sitchin errate interpretazioni dei testi sumeri; le sue teorie risultano non facilmente confutabili in quanto sono ben pochi i ricercatori in grado di poter affermare con sicurezza di saper decifrare la scrittura cuneiforme come il Sitchin. Nei testi sumeri che ci descrivono Niburu essi ravvisano le rappresentazioni fantastiche e mitologiche di Dei e divinità ed inoltre, altri ricercatori, in particolare astronomi, non ritengono probanti le interpretazioni planetarie del sigillo di Berlino. Da un’attenta analisi astronomica del sigillo, definito da Sitchin la mappa del nostro sistema solare, questo non sembra corrispondere alla realtà né per posizione dei corpi celesti né per ampiezza delle orbite.

Chi considera esatte le teorie di Zecharia Sitchin afferma invece che, come i Sumeri sanno di Urano, Nettuno e Plutone, dicono parimenti il vero su Nibiru, è reale il calcolo secondo cui il “pianeta dell'incrocio” ritorna ad avvicinarsi ogni 3.600 anni e vera è l’esistenza degli Anunnaki, un popolo che nel passato ci ha civilizzato.

Inoltre dal 2007 rimbalza nel mondo accademico e scientifico una scoperta che potrebbe essere proprio in relazione con il pianeta Nibiru: la scoperta di un decimo pianeta!
Si troverebbe oltre l’orbita di Plutone, ai confini della fascia di Kuiper, dove stazionano asteroidi e materiale interstellare.
Le informazioni inviate dalle sonde spaziali suggeriscono, infatti, l’esistenza di un altro pianeta o di un corpo celeste, oltre Plutone, che influenza le orbite dei pianeti esterni.
Fin dal 1846, dopo la scoperta di Nettuno, venne dichiarato che poteva esserci un altro pianeta in quella zona e cercato il pianeta che si credeva influenzasse l’orbita di Nettuno; ma non erano stati considerati gli effetti di Urano su Nettuno. Quando fu trovato Plutone, nel 1930, gli scienziati si resero conto che era troppo piccolo per determinare effetti gravitazionali su Nettuno, quindi la ricerca fu indirizzata oltre Plutone, verso un pianeta che fu chiamato "Pianeta X".
Ebbene questo decimo pianeta avrebbe le stesse caratteristiche descritte dai sumeri quando raffiguravano Nibiru: orbita enorme simile a quella di una cometa e grande quasi quanto Giove.
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DarkAvenger83
view post Posted on 31/10/2008, 23:04




Ho letto tutto:
Sulle linee....non so ke dire nel senso "boh"
Sulle piramidi O_O sarebbe veramente la scoperta storica più sensazionale di tutti i tempi!!!
Mammamia troppo affascinante anke il fatto dei sumeri......fra quanti anni passerà Nibiru???
 
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Lucasart85
view post Posted on 1/11/2008, 11:17




secondo alcuni calcoli Nibiru passerà a trovarci al 13-12-3101, quindi tra 1099 anni.
spero di esserci...
 
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Lucasart85
view post Posted on 5/11/2008, 11:58




La macchina di Anticitera
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La macchina di Anticitera, nota anche come meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 100 - 150 a.C.
Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei 5 pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi e i giorni della settimana. Trae il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta. È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull'isoletta rocciosa di Cerigotto.
Al largo dell'isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di un'enorme nave affondata, risalente all'87 a.C. e adibita al trasporto di statue in bronzo e marmo.
Il 17 maggio 1902 l'archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra aveva un ingranaggio inglobato all'interno.
Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori.

Si trattava di un'intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, facenti parte di un elaborato meccanismo ad orologeria.
La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell'iscrizione non è ancora stato pubblicato).
Il meccanismo è attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione.
SPOILER (click to view)
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Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo complesso per appartenere al relitto ed alcuni esperti dissero che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire ad un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo ma la questione rimase irrisolta.
Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati. Quell'anno infatti il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.

Funzione e funzionamento
Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari).
L'estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto veniva riprodotto tramite l'utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale.
Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia.

Contesto storico
Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi pari sino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050 d.C., rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili ad occhio nudo ed il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile.
Ad Alessandria d'Egitto infatti durante l'ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di Erone. A Siracusa inoltre già dal 213 a.C. Cicerone cita la presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l'unicità del meccanismo di Anticitera risiede nel fatto che è l'unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non rimasto nel limbo delle semplici "curiosità".

Lucasart
 
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Lucasart85
view post Posted on 11/11/2008, 10:10




Rovine sommerse a Cuba

Le rovine sommerse al largo di Cuba. Il 28 maggio 2002, in un articolo pubblicato online sul sito ufficiale del National Geographic dal titolo “Nuove scoperte subacquee sollevano domande sui miti del diluvio”, il reporter Brian Handwerk scrive che “…recenti ritrovamenti subacquei potrebbero portare nuovi indizi allo studio di insediamenti umani che giacciono sotto le onde…”; a cosa si stava riferendo?

A quella che probabilmente potremmo definire, senza paura di essere smentiti, la più grande scoperta archeologica di inizio millennio: “La città sommersa di Cuba”.
Handwerk descrive la scoperta ed il contesto: “Nel profondo delle acque di Cabo de San Antonio, lontano dalle coste di Cuba, ricercatori stanno esplorando formazioni insolite di lisci blocchi, pennacchi e forme geometriche”. Seppur interessante, fin qui la notizia non sembra così straordinaria; continuando nell’articolo però, si legge qualche cosa di veramente sorprendente riguardante quelle formazioni insolite, soprattutto perchè indicato da una fonte così allineata all’archeologia ufficiale come il National Geographic: “Le strutture sono coperte da 600 a 750 metri di acqua”.
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La posizione del sito (il quadrato indicato con la scritta “Mega”) a nord della punta cubana di Capo Sant’Antonio

La storia di questo sorprendente ritrovamento ha inizio nel luglio del 2000 quando i canadesi Paulina Zelitsky, ingegnere russa assegnata allo spionaggio sottomarino durante la guerra fredda, e suo marito Paul Weinzweig, ricercatori della “Advanced Digital Communications” (ADC) che ha sedi in Canada ed a Cuba, a bordo del loro vascello di ricerca “Ulises”, stavano esplorando i fondali al largo di Capo Sant’Antonio a nord ovest di Cuba in cerca di relitti da recuperare, attività che li aveva già resi famosi (e discretamente ricchi). Muniti, come è logico, di sofisticatissimi sistemi di rilevamento e monitoraggio del fondale, incontrarono una strana ed ampia area pressoché piana (pendenza massima = 6 gradi) di circa 20 chilometri di lato, ricoperta da una spessa coltre di pura sabbia bianca, dal centro della quale però qualcosa faceva “impazzire” il sonar; l’esperienza di Zelitsky e Weinzweig sull’analisi di questi tracciati suggerì una conclusione veramente incredibile, soprattutto ad una tale profondità: avevano localizzato strutture megalitiche, apparentemente di pietra, dalle chiare forme geometriche di piramidi o rettangoli, alcune organizzate simmetricamente e perfettamente allineate. E poi strade, muri e costruzioni sviluppate come un centro urbano.
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Riprese e campioni
A seguito di un tale rilevamento, misterioso ma allo stesso tempo intrigante, l’ovvio e legittimo obiettivo successivo sarebbe stato quello di vedere con i propri occhi ciò che si trovava là sotto e, possibilmente, prelevare dei campioni. A questo scopo, nel luglio 2001, i coniugi esploratori canadesi scelsero di avvalersi di un ROV (Remotely Operated Vehicle), un robot teleguidato per esplorazioni ad elevate profondità in grado di riprendere immagini e di raccogliere campioni di roccia dal fondale; oltre all’aiuto della tecnologia, Zelitsky e Weinzweig decisero di farsi accompagnare anche da esperti studiosi Cubani, tra i quali il dott. Manuel Iturralde, geologo ricercatore del Museo di storia Naturale di Havana che manifestò sin dall’inizio un profondo interesse verso le allora presunte rovine sommerse.
I risultati delle riprese furono ancora più esaltanti dei rilevamenti sonar e confermarono le ipotesi più ardite avanzate sulle caratteristiche delle strutture: le telecamere certificarono la presenza di grossi blocchi di pietra alti fino ad oltre tre metri, alcuni rettangolari, altri circolari, altri ancora piramidali; molti blocchi erano uno sopra l’altro, altri isolati.
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Ma le sorprese non erano ancora finite: osservando i filmati, infatti, si notava che il colore bianco chiaro dei megaliti era in netto contrasto con quello scuro delle rocce vulcaniche tipiche di quei fondali, così come la loro superficie piana lo era rispetto a quella irregolare delle rocce locali; questo fatto fece pensare alla possibilità remota che quei megaliti fossero di granito, una pietra introvabile non solo sull’isola di Cuba ma addirittura in tutta l’area della penisola dello Yucatan (luoghi in cui si possono trovare per lo più rocce vulcaniche e calcaree), ma presente nella parte centrale del Messico.
Una volta analizzati i campioni prelevati dal fondale e a conferma di quanto inizialmente si riteneva impossibile, si configurò una clamorosa scoperta: non solo i campioni si rivelarono essere di granito puro e completamente levigato ma, in certi casi, erano ricoperti da incrostazioni di fossili organici che normalmente vivono vicino alla superficie. Come se non bastassero questi elementi (propri delle strutture), ad infittire il mistero contribuì anche l’area di 20 km quadrati attorno ai megaliti: si scoprì infatti che questa era ricoperta da vetro vulcanico, il quale “può essere generato esclusivamente su una superficie ossigenata”, come ammise Iturralde.

Ipotesi geologica?
“Sono strutture veramente uniche. Non sono facili da comprendere e non ho per loro alcuna semplice spiegazione in un processo geologico naturale”. Questa è la frase che forse più di tutte chiarisce l’opinione di Iturralde in merito alle strutture sommerse di Cuba.
Dopo le analisi dei campioni e delle immagini relative alle spedizioni del 2001, Iturralde conferma che quelle strutture erano sicuramente fuori dell’acqua in passato e che, non essendoci spiegazioni geologiche diverse in merito alla loro composizione, forma e disposizione, potrebbero essere state perlomeno modificate da un intervento umano.

A questo punto, l’unico appiglio tangibile a cui un geologo con dottorato di ricerca può “aggrapparsi” per dare una spiegazione al misterioso ritrovamento è il “fattore tempo”, che come ben sappiamo, è spesso l’unica “ancora di salvezza” che rimane a certi studiosi per tentare di non andare alla deriva tra le onde dei misteri dell’esistenza umana e di ciò che la circonda. Il fenomeno della subsidenza, ovvero il movimento (in questo caso di sprofondamento) delle placche tettoniche, avrebbe lentamente fatto sprofondare l’area di 20 chilometri di lato che ospita i monumenti megalitici fino a portare il tutto a 700 metri sotto l’oceano. Oltre però a chiederci come mai la zona non si sia nemmeno leggermente deformata o danneggiata a causa di questo cataclismico movimento, sorge spontanea la domanda: ma in quanto tempo è avvenuto questo ipotetico sprofondamento? “Più o meno, il fondale oceanico può sprofondare velocemente al ritmo di 16 millimetri l’anno” conferma il dott. Iturralde.

Velocemente al ritmo di 16 millimetri l’anno? Quindi, se la matematica non è un’opinione, al ritmo di subsidenza più veloce mai misurato, il sito si sarebbe trovato fuori dell’acqua all’incirca 50.000 anni fa! In certi casi, rifiutando le spiegazioni più semplici, si finisce con il complicarsi la vita. L’archeologia ufficiale infatti si rifiuta di dover rivedere la teoria secondo la quale, nel bel mezzo del paleolitico medio, l’homo sapiens “neandertaliano” aveva da poco incominciato ad effettuare le prime sepolture e ad insediarsi in ambienti ostili; figuriamoci accettare l’esistenza di esseri in grado di costruire templi megalitici di granito dalle forme geometriche a migliaia di chilometri di distanza dal germanico cugino neandertaliano! Michael Faught, professore di antropologia all’università statale della Florida e specialista in archeologia sottomarina, in relazione a questo ritrovamento afferma che “…sarebbe veramente avanzato per qualunque cosa osservabile nel nuovo mondo. Le strutture sono fuori dal tempo a dallo spazio”. Quindi, piuttosto di considerare l’ipotesi che le rovine siano state effettivamente sommerse dall’acqua nell’esatto punto in cui si trovano e che quindi in un tempo non troppo lontano il livello del mare era di circa 700 metri più basso di quello odierno, si nega l’evidenza dei fatti “misurando” la possibile età del monumento tramite l’unico “metro” accettato dalla geologia, che però si rivela palesemente non adatto.

Sulle pagine internet ufficiali relative alle sue ricerche sulle rovine sommerse di Cuba, Iturralde considera le tre seguenti ipotesi relative all’origine di tali strutture:
1) origine naturale
2) create da esseri intelligenti
3) strutture naturali trasformate da esseri intelligenti
Relativamente alla prima ipotesi però, è costretto ad ammettere che “…i dati ottenuti non supportano completamente…” questa versione, che comunque “…non dovrebbe essere scartata, perché Madre Natura è in grado di creare strutture inimmaginabili…”.
Una frase che non denota certo il più scientifico degli approcci.
Per quanto riguarda le altre due ipotesi, gli ostacoli principali sono l’età presunta del sito di 50.000 anni e il fatto che l’ipotesi di un intervento umano, “…indipendentemente da quanto attrattiva ed affascinante possa essere…non dovrebbe essere accettata finché non avremo dirette evidenze dell’azione di esseri intelligenti…”.
Dirette evidenze? Sono state trovate?

Iscrizioni
Le evidenze dirette che forse mancavano ad Iturralde ed al gruppo di ricercatori e studiosi cubani non tardarono a venire fuori. In un’intervista della famosa giornalista Linda Moulton-Howe apparsa sul suo sito www.earthfiles.com, i coniugi Paul Weinzweig e Paulina Zelitsky in persona rivelano un ulteriore sviluppo delle ricerche con i ROV che mette definitivamente una “croce” sull’ipotesi dell’origine naturale delle strutture: un video che riporta chiaramente, nonostante la fitta presenza di detriti e plankton, la presenza di iscrizioni sui megaliti in diversi punti. Queste rivelano, in certi casi, caratteristiche comuni e simili a quelle rinvenute nelle miniere cubane e nei siti messicani, come i simboli della croce centro-americana (una sorta di croce formata da due ellissi sottili); in altri casi, similitudini con la simbologia piramidale e geroglifica sudamericana, rivelando quindi un ovvia continuità sia dal punto di vista geografico che da quello socio-culturale con le vicine civiltà centro e sud americane, sebbene possedendo caratteristiche che le fanno supporre essere più antiche (come se fossero state incise da individui precursori di quelle civiltà).
Al momento dell’intervista (metà del 2001), le iscrizioni erano in corso di studio da parte del dott. Gabrino la Rosa; purtroppo non è più stato possibile reperire informazioni e pareri scientifici su questa scoperta.

Conclusioni
Al di fuori di qualche sporadico servizio televisivo (alcuni dei quali accusati addirittura di utilizzare immagini di repertorio invece di quelle originali), inspiegabilmente le strutture sommerse di Cuba sono risultate sconosciute alla stragrande maggioranza degli ambienti scientifici e culturali, nonché alla gente comune (in Italia un notiziario di “Rete 4” ha trasmesso in breve la notizia il 19 dicembre 2001 ma praticamente nessuno se ne ricorda).
Evidentemente, chi è a conoscenza dei fatti e degli ultimi sviluppi della vicenda, o non ha i mezzi per divulgare una tale scoperta (cosa che succede molto spesso) o aspetta ulteriori conferme (manifestando forse uno scetticismo eccessivo), conferme che però risultano purtroppo sempre più difficili da reperire anche, ma non solo, a causa dell’elevato costo delle missioni esplorative e dei i noti problemi politici con il governo cubano.
Questa posizione di stallo sembrerebbe essersi sbloccata al termine del 2004 quando il giornale messicano “Milenio”, nel numero del 6 novembre 2004, pubblicò una notizia che agli occhi di un normale lettore poteva apparire come la solita news dal mondo dell’archeologia. La notizia diceva che, in data 7 ottobre 2004, un gruppo internazionale di archeologi era partito dal Messico con una nave adeguatamente equipaggiata per continuare le ricerche di una città sommersa al largo di Cuba.
Dopo 25 giorni di lavoro, interrotti per problemi tecnici dovuti alla visibilità sei volte più bassa del previsto, il team di scienziati aveva fatto ritorno con un ‘bottino’ molto interessante: precise risonanze del sonar che rilevano una struttura piramidale di 35 metri e, grazie all’utilizzo di un mini-sottomarino chiamato “Deep Worker”, fotografie della struttura scattate “...dalla distanza variabile tra l’uno e i tre metri, non riuscendo a farlo in modo che venisse resa correttamente la prospettiva delle strutture scoperte...”. Non solo risonanze e foto, ma anche pezzi di roccia con fossili di piccoli animali da superficie e resti di polveri vulcaniche (anche queste che si formano solo in superficie). Neanche a dirlo, la National Geographic Society si è già “assicurata” un esclusivo articolo con la Zelitsky.

Tenendo conto anche di questi ultimi sviluppi della vicenda, quindi, un’analisi obiettiva di tutti i fatti e di tutta la documentazione finora pubblicata non può che portare alle seguenti conclusioni:
1) le strutture sono opera dell’uomo, data la loro complessità, la loro dimensione, il tipo di materiale (granito), la presenza di iscrizioni, di fossili organici e le caratteristiche del sito che le ospita (ottimale per edificare monumenti)
2) le caratteristiche di continuità delle strutture, delle iscrizioni nel contesto geografico, urbanistico e socio-culturale con le civiltà centro e sud americane indicano che al tempo della nascita di quelle civiltà, o perlomeno al tempo dei primi insediamenti che le originarono, la zona era fuori dall’acqua come lo era il Sud America, il Messico e la penisola dello Yucatan e quindi, su scala globale, il livello del mare era molto più basso di quello attuale
Nessun fenomeno di subsidenza (che peraltro sarebbe risultato distruttivo ed avrebbe con tutta probabilità cancellato ogni traccia delle strutture) avrebbe potuto far scendere l’area a quelle profondità. Perché, allora, tutta quell’acqua ad occultare nel profondo del mare il bianco granito delle rovine? Potrebbero esserci collegamenti con le innumerevoli leggende relative al biblico Diluvio Universale che sconvolse il nostro pianeta diverse migliaia di anni fa?
Una cosa è certa: le peculiarità di questo affascinante mistero, nonché le forti contraddizioni da esse derivanti, difficilmente consentiranno una soluzione dell’enigma attraverso i consueti ricorsi ad ipotetiche cause naturali verificatesi nel lontanissimo passato, che troppo spesso vengono semplicisticamente invocate e da tutti accolte quasi con fede cieca.

Senza voler entrare nel campo della teologia, dell’esegesi biblica o della filosofia, quindi, non è certo da visionari, mitomani o irragionevoli ammettere che le rovine sommerse di Cuba abbiano potenzialità che potrebbero obbligare a riscrivere la storia delle civiltà dell’uomo, se non addirittura contribuire a chiarire i misteri concernenti la sua origine. Per concludere, vorrei riportare quello che Robert Jastrow ebbe a scrivere perché particolarmente calzante a conclusione delle considerazioni fatte finora, ovvero che “...per lo scienziato che ha vissuto fidando nel potere della ragione, la storia finisce come un incubo. Egli ha scalato le montagne dell’ignoranza; è giunto al punto di conquistare il picco più alto quando, nel raggiungere l’ultima roccia, viene salutato da un gruppo di teologi che si trovavano lì seduti ormai da secoli”.
 
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42 replies since 12/6/2008, 13:17   846 views
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